GNOSIS
Rivista italiana
diintelligence
Agenzia Informazioni
e Sicurezza Interna
» ABBONAMENTI

» CONTATTI

» DIREZIONE

» AISI





» INDICE AUTORI

Italiano Tutte le lingue Cerca i titoli o i testi con
Per Aspera Ad Veritatem n.10
CORTE D'ASSISE DI ROMA - SENTENZA N. 21/97 DEL 12 GIUGNO 1997





LA 2ª CORTE D'ASSISE DI ROMA

composta dai signori: Presidente Dott. Gianvittore FABBRI; Dott. Stefano PETITTI - Giudice; Sig.ra Lorella MELLINI - Giudice popolare; Sig.ra Maria Rita AURELI - Giudice popolare; Sig.ra Maria DI CASSIO - Giudice popolare; Sig. Domenico CARANNANTE - Giudice popolare; Sig.ra Carla BELLARDINELLI - Giudice popolare; Sig.ra Maria Thea STAZI - Giudice popolare; con l'intervento del P.M. rappresentato dal Signor Dott. Franco IONTA e con l'assistenza del Collaboratore di Canc. Giuseppe MARINO.



SENTENZA
NELLA CAUSA DI PRIMO GRADO CONTRO (...)

Motivi della decisione

1. All'esito della istruzione dibattimentale, la Corte ritiene che sia pienamente provata la responsabilità penale dell'imputato in ordine ai reati ascrittigli, ad eccezione di quel che concerne il trattenimento e la violazione del dovere di custodia in relazione agli specifici documenti di cui si dirà.
La vicenda oggetto del presente processo non presenta, nei suoi aspetti oggettivi, elementi controversi. L'imputato ha, infatti, ammesso che, nel giugno 1993, nello stesso giorno in cui era stato invitato ad abbandonare il SISDe, presso il quale aveva prestato la propria attività come fiduciario del direttore del Servizio per le spese riservate dal 2 gennaio 1990 e dopo una carriera nella amministrazione statale protrattasi per oltre trenta anni, aveva preso nel fondo di un armadio documenti vari, sperando, a suo dire, di potervi trovare riferimenti utili a sostenere che i fondi rinvenuti su alcuni conti bancari a lui intestati erano effettivamente di sua proprietà e non erano, come in un primo momento sostenuto, anche in riferimento ad altri conti bancari intestati ad altri funzionari del Servizio, di proprietà del Servizio stesso.
La vicenda in esame, invero, secondo quanto emerso dalla istruzione dibattimentale, dalla documentazione acquisita agli atti del processo e dall'esame dell'imputato, pienamente compatibile con le altre risultanze istruttorie, si inserisce nella più ampia vicenda giudiziaria relativa alla gestione dei fondi riservati del SISDe, venuta alla luce a seguito del rinvenimento presso alcuni istituti di credito, di depositi bancari di rilevante importo, intestati, appunto, ad alcuni funzionari del SISDe, tra i quali il (...), e dei quali era stata in un primo momento accreditata l'appartenenza al Servizio.
In questo contesto, l'imputato assume di aver prelevato la documentazione indicata nel capo di imputazione e di averla trattenuta presso di sé per poter rinvenire in essa elementi tali da poter accreditare la linea difensiva nel procedimento allora pendente a suo carico, della sua esclusiva titolarità dei fondi rinvenuti nei depositi bancari a suo nome; egli assume, altresì, di aver consegnato la documentazione stessa al suo coimputato (...), al fine di sottoporla all'esame dei difensori onde poter poi utilizzare i documenti effettivamente utili all'assunto difensivo e di avere, a seguito della divulgazione dei documenti ad opera del (...), egli stesso prodotto in sede di interrogatorio dinanzi al procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Roma, su sollecitazione di quest'ultimo, tutta la documentazione indicata nell'allegato al capo di imputazione, senza avere neanche avuto il tempo di sottoporre i documenti al proprio difensore.
La Corte rileva che, nella sua oggettività, e precisamente per quel che riguarda i tempi della apprensione dei documenti e le modalità di utilizzazione dei documenti stessi da parte dell'imputato, la ricostruzione della vicenda dallo stesso fornita (pur con il dubbio circa la effettiva possibilità che i documenti oggetto di apprensione si trovassero nel fondo di un armadio e non fossero piuttosto stati nel tempo accantonati) può essere assunta a base della decisione, dal momento che questa risulta, nei suoi elementi essenziali, riscontrata sia dalle dichiarazioni del (...), il quale, nell'interrogatorio del 28 ottobre 1993 ha appunto affermato di aver ricevuto dal (...) la documentazione che a sua volta egli si accingeva a produrre nel corso di quell'interrogatorio, sia dalla deposizione del teste ..., il quale ha a sua volta ricostruito le fasi della indagine relativa al rinvenimento dei depositi bancari a nome dei funzionari del SISDe, con particolare riferimento alla posizione del (...) e del (...).
I problemi che la valutazione della condotta del (...) comporta in relazione a tutti gli altri documenti, che viceversa deve ritenersi accertato egli abbia materialmente prelevato dagli uffici del SISDe, trattenuto presso di sé e consegnato in copia al (...) pochi giorni prima di consegnarli egli stesso alla Procura della Repubblica, sono, ad avviso della Corte, i seguenti: a) se i documenti oggetto della apprensione da parte del (...) possano o meno considerarsi di natura segreta e conseguentemente se la condotta del (...) sia ascrivibile alla fattispecie contestata; b) se in ordine a tali documenti sussistessero forme speciali di custodia e quindi se la apprensione dei documenti integri o meno la fattispecie di cui all'art. 351 cp; c) se la condotta del (...) possa ritenersi priva di antigiuridicità, per aver egli agito al fine di esercitare il diritto di difesa.

2. - L'assunto dal quale muove la pubblica accusa secondo cui, poiché la documentazione trattenuta dall'imputato afferisce alla gestione delle spese riservate del SISDe, la stessa parteciperebbe, per ciò solo, della medesima natura dei fondi ai quali essa si riferisce, non può, ad avviso della Corte, essere condiviso, quanto meno nella sua formulazione generale, che non sembrerebbe tollerare deroghe. In sostanza, il pubblico ministero sostiene che tutta la documentazione afferente alla gestione dei fondi riservati, pur se non classificata formalmente nelle categorie segretissimo, segreto, riservatissimo e riservato, secondo le prescrizioni della normativa in materia (PCM - ANS l/R), sarebbe tuttavia ontologicamente segreta, partecipando della medesima natura delle spese sostenute attraverso prelievi sui fondi riservati, non potendosi neanche operare alcuna valutazione in ordine alla destinazione delle spese.
La Corte non ritiene, tuttavia, che la semplice riferibilità di atti o documenti alle spese riservate valga a qualificare di per sé quegli atti come concernenti la sicurezza dello Stato (art. 255 cp), dal momento che, in mancanza di una positiva classificazione di segretezza, la quale pure non precluderebbe il controllo giurisdizionale anche se ai limitati fini della verifica della rispondenza della classificazione alle finalità per le quali una classifica di segretezza (o riservatezza) può essere disposta e non essendo neanche stato opposto, in relazione a quei documenti, il segreto di Stato, la ontologica segretezza o riservatezza della documentazione in questione non può essere solo desunta dalla sua inerenza ai fondi riservati, rendendosi, al contrario, necessario valutare atti, documenti o notizie in relazione alla vigente normativa sul segreto di Stato. Anche l'art. 255 cp, infatti, deve essere letto alla luce della vigente normativa introdotta in materia di segreto di Stato dalla legge 24 ottobre 1977, n. 801. Ai sensi dell'art. 18 di tale legge, invero, sino alla emanazione di una nuova legge organica relativa alla materia del segreto, le fattispecie previste e punite dal libro II, titolo I, capi primo e quinto del codice penale, concernenti il segreto politico interno e internazionale, debbono essere riferite alla definizione del segreto di cui agli artt. 1 e 12 della stessa legge.
L'art. 12, in particolare, dispone che "sono coperti da segreto di Stato gli atti, i documenti, le notizie, le attività e ogni altra cosa la cui diffusione sia idonea a recar danno alla integrità dello Stato democratico: anche in relazione ad accordi internazionali, alla difesa delle istituzioni poste dalla Costituzione a suo fondamento, al libero esercizio delle funzioni degli organi costituzionali, alla indipendenza dello Stato rispetto agli altri Stati e alle relazioni con essi, alla preparazione e alla difesa militare dello Stato. In nessun caso possono essere oggetto di segreto di Stato fatti eversivi dell'ordine costituzionale''. Poiché tale disposizione prescinde dal positivo apprezzamento dell'autorità competente circa la sussistenza del segreto (cosiddetta classificazione di atti o notizie), deve ritenersi che la stessa si riferisca anche a quegli atti o a quelle notizie che possiedono un carattere di segretezza per essere inerenti alla sicurezza dello Stato e alle altre finalità previste, pur prescindendo da qualsiasi esplicito intervento qualificatorio della autorità competente.
Che la apposizione del segreto di Stato e che il divieto di divulgazione possano essere disposti dall'autorità competente solo in relazione a finalità determinate, e che, conseguentemente, allorquando non sia intervenuto un provvedimento di classificazione, la natura, segreta o meno, di un atto, di un documento o di una notizia, debba essere di volta in volta accertata in relazione alle finalità previste dal legislatore, del resto, risulta confermato dall'art. 24 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi). Questa disposizione, infatti, dopo aver stabilito che il diritto di accesso è escluso per i documenti coperti da segreto di Stato ai sensi dell'art. 12 della legge 24 ottobre 1977, n. 801, nonché nei casi di segreto o di divieto di divulgazione altrimenti previsti, autorizza, al secondo comma, il Governo ad emanare norme regolamentari per disciplinare le modalità di esercizio del diritto di accesso e gli altri casi di esclusione del diritto di accesso in relazione alla esigenza di salvaguardare: a) la sicurezza, la difesa nazionale e le relazioni internazionali; b) la politica economica e valutaria; c) l'ordine pubblico e la prevenzione e la repressione della criminalità; d) la riservatezza di terzi, persone, gruppi ed imprese. In attuazione di quanto disposto da questo articolo, il d. P. R. 27 giugno 1992, n. 352, ha poi stabilito, all'art. 8, comma 2, che i documenti non possono essere sottratti all'accesso se non quando essi siano suscettibili di recare un pregiudizio concreto agli interessi indicati nell'art. 24, precisando che i documenti contenenti informazioni connesse a tali interessi sono considerati segreti solo nell'ambito e nei limiti di tale connessione, e, all'art. 8, comma 5, lettera a), che i documenti amministrativi possono essere sottratti all'accesso quando, al di fuori delle ipotesi disciplinate dall'art. l2 della legge n. 801 del 1977, dalla loro divulgazione possa derivare una lesione, specifica e individuata, alla sicurezza e alla difesa nazionale, nonché all'esercizio della sovranità nazionale e alla continuità e alla correttezza delle relazioni internazionali con particolare riferimento alle ipotesi previste nei trattati e nelle relative leggi di attuazione.
Il quadro che emerge dalla normativa vigente, dunque, ferma restando la distinzione tra atti, documenti o notizie oggettivamente segreti e atti, documenti o notizie in relazione ai quali la segretezza o riservatezza venga affermata con un provvedimento di classificazione, appare caratterizzato dalla esigenza di assicurare che la segretezza di atti, documenti o notizie risulti finalizzata al perseguimento delle finalità indicate dalle leggi e dalle norme regolamentari indicate.
Entro i limiti imposti dalla normativa ora richiamata, la Corte ritiene che la segretezza di notizie e di documenti o di quant'altro possa essere classificato a fini di sicurezza, possa essere oggetto di accertamento da parte dell'autorità giudiziaria. Si tratta, infatti, di valutazioni che, soprattutto in mancanza di una positiva esplicazione del potere qualificatorio da parte dell'autorità competente, concorrono ad integrare la fattispecie incriminatrice e che in tanto possono essere validamente assunte a fondamento di un giudizio di responsabilità penale in quanto rientrino nelle finalità che la legge n. 801 riconosce come le sole che possono consentire l'apposizione a notizie o documenti del segreto di Stato e che la legge n. 241 del 1990 riconosce come fondanti il divieto di divulgazione.

3. - A tale impostazione la Corte non ritiene sia di ostacolo la sentenza della Corte Costituzionale n. 86 del 1977, nella quale si afferma che "la individuazione dei fatti, degli atti, delle notizie, ecc., che possono compromettere la sicurezza dello Stato e devono, quindi, rimanere segrete, costituisce indubbiamente il frutto di una valutazione dell'autorità preposta appunto a salvaguardare questa sicurezza e non può non consistere in un'attività pienamente discrezionale e, più precisamente, di una discrezionalità che supera l'ambito ed i limiti di una discrezionalità puramente amministrativa, in quanto tocca la salus reipublicae ed è, quindi, intimamente legata all'accertamento di questi interessi ed alla valutazione dei mezzi che ne evitano la compromissione e ne assicurano la salvaguardia", precisandosi che "il giudizio sui mezzi idonei e necessari per garantire la sicurezza dello Stato ha natura squisitamente politica e, quindi, mentre è connaturale agli organi ed alle autorità politiche preposte alla sua tutela, certamente non è consono all'attività del giudice". Secondo la Corte costituzionale, infatti, nel nostro ordinamento è di regola inibito al potere giurisdizionale di sostituirsi al potere esecutivo e alla P.A. e, quindi, di operare il sindacato di merito sui loro atti. "Contraddire a questo principio significherebbe capovolgere taluni criteri essenziali del nostro ordinamento e, in fatto, eliminare praticamente il segreto ancor prima di una qualsiasi pronuncia del giudice e nel momento stesso nel quale la questione dell' ammissibilità o meno del segreto fosse sottoposta ad un giudice".
Come si diceva, questa Corte ritiene che tali principi non siano di ostacolo non solo alla valutazione della riservatezza di notizie delle quali sia stata positivamente, con provvedimento esplicito, vietata la divulgazione, dal momento che, in tali casi, il carattere di riservatezza discende da un positivo apprezzamento che vale a qualificare una notizia altrimenti suscettibile di essere conosciuta da un numero imprecisato di persone, ma anche e soprattutto, alla valutazione della segretezza o della riservatezza di atti o notizie, considerati nella loro oggettività. Invero, a parte il rilievo che la pronuncia della Corte si riferisce al momento procedimentale della apposizione del segreto da parte del potere esecutivo e non anche direttamente alla valutazione del segreto apposto ad un documento o ad una notizia allorquando la segretezza del documento o della notizia integrino un elemento costitutivo di una fattispecie penale (non a caso, del resto, la Corte ipotizzava nella pronuncia citata il rimedio del conflitto di attribuzione in relazione alla opposizione del segreto di Stato ove questa paralizzasse l'esercizio della giurisdizione penale: ipotesi, questa, non configurabile nel caso in cui la segretezza di un documento o di una notizia sia elemento costitutivo di un illecito penale), sta di fatto che la legge n. 801 del 1977, che pure si ispirava direttamente alla pronuncia della Corte, e la successiva legge n. 241 del 1990 hanno circoscritto l'ambito del segreto di Stato e, rispettivamente, del divieto di divulgazione al perseguimento di finalità che, benché espresse in termini necessariamente generali, appaiono tuttavia oggettivamente valutabili e in parte diverse da quelle considerate dal testo dell'art. 255 cp (atti o documenti concernenti la sicurezza dello Stato o altro interesse politico, interno o internazionale, dello Stato).
Del resto, non può non rilevarsi che la legge n. 801 del 1977, nell'istituire gli organismi incaricati dei servizi di informazione e di sicurezza ne stabilisce anche le finalità, individuate, per il SISMI, nei compiti informativi e di sicurezza per la difesa sul piano militare dell'indipendenza e dell'integrità dello Stato da ogni pericolo, minaccia o aggressione e nei compiti di controspionaggio (art. 4), e, per il SISDe, nei compiti informativi e di sicurezza per la difesa dello Stato democratico e delle istituzioni poste a suo fondamento contro chiunque vi attenti e contro ogni forma di eversione (art. 6). Una interpretazione sistematica delle disposizioni ora indicate con quella di cui all'art. 10 della stessa legge, consente di affermare, in considerazione della quasi testuale coincidenza tra le finalità che devono essere perseguite dai servizi di informazione e quelle per le quali può essere apposto o opposto il segreto di Stato, che la disciplina del segreto, per quanto concerne l'attività degli organismi di informazione e di sicurezza istituiti dagli artt. 4 e 6 della legge n. 801, va sottoposta alla medesima valutazione di rispondenza alle finalità istituzionali dei servizi stessi, e quindi, anche nei confronti dell'attività di questi organismi, può essere operata quella valutazione che, come si e già detto, può essere condotta dal giudice nella applicazione della normativa concernente fattispecie penali nelle quali il segreto è elemento costitutivo.
In sostanza, il quadro che discende dalla normativa applicabile, lungi dall'imporre la mera registrazione della classificazione di un documento o di una notizia ovvero di considerare automaticamente tutto ciò che viene prodotto nell'ambito di un servizio di sicurezza come segreto o riservato, solo in ragione della sua provenienza o solo in ragione della inerenza, come nel caso oggetto del presente processo, ad aspetti riservati della attività del servizio, appare richiedere, al contrario, un sindacato, ancorché limitato alla verifica della insussistenza di fatti eversivi dell'ordine costituzionale e al rispetto delle finalità che legittimano l'esistenza del segreto: il che, come detto, vale sia per le situazioni in cui la qualificazione discenda positivamente da una espressa valutazione dell'autorità competente, sia per i casi, quali quello di specie, in cui la segretezza dell'atto o della notizia si assume essere coessenziale all'atto o alla notizia.

4. - Nei termini generali in cui viene prospettata, la tesi della pubblica accusa non può, quindi, essere condivisa. Se è vero, infatti, che è la stessa legge 24 ottobre 1977, n. 801 a prevedere l'esistenza di fondi sottratti alla ordinaria gestione contabile (art. 19, secondo comma), affidati agli organismi istituiti dalla medesima legge (CESIS, SISMI e SISDe), è pur vero che l'attribuzione ai Servizi di sicurezza di fondi sottratti all'obbligo di rendicontazione in tanto si giustifica, in quanto i fondi stessi vengano impiegati in finalità rispondenti a quelle per le quali i servizi stessi sono stati istituiti.
La legge fondamentale in materia àncora il funzionamento della attività di informazione e di sicurezza al perseguimento di finalità determinate, ancorché suscettibili di ulteriori specificazioni ad opera del Presidente del Consiglio dei ministri, e, escludendo che possano essere oggetto di segreto di Stato fatti eversivi dell'ordine costituzionale, presuppone la possibilità di un sindacato giurisdizionale sull'esercizio delle relative competenze.
Orbene, la Corte ritiene che la soluzione del quesito iniziale debba essere rinvenuta nella disciplina legislativa ora indicata, tenendo presente che l'art. 1 della medesima legge prevede, al primo comma, che al Presidente del Consiglio dei ministri sono attribuiti l'alta direzione, la responsabilità politica generale e il coordinamento della politica informativa e di sicurezza nell'interesse e per la difesa dello Stato democratico e delle istituzioni poste dalla Costituzione a suo fondamento e, al secondo comma, che il Presidente del Consiglio dei ministri impartisce le direttive ed emana ogni disposizione necessaria per l'organizzazione e il funzionamento delle attività attinenti ai fini di cui al comma precedente; controlla la applicazione dei criteri relativi alla apposizione del segreto di Stato e alla individuazione degli organi a ciò competenti; esercita la tutela del segreto di Stato.
Si tratta di disposizioni di grande rilievo nel presente giudizio, dal momento che, nell'esercizio delle attribuzioni attribuitegli dalla legge, il Presidente del Consiglio ha proceduto ad emanare direttive sia per quel che riguarda la materia della tutela del segreto di Stato nel settore degli organismi di informazione e di sicurezza (v. Direttiva n. 2001 del 30 luglio 1985), sia per quel che riguarda le spese di organizzazione e funzionamento e le spese riservate del CESIS, del SISMI e del SISDe (v. Direttiva n. 4012/1 del 10 gennaio 1986, entrambe nel fascicolo degli atti prodotti dall'Avvocatura generale dello Stato).
Tali direttive, invero, costituiscono esercizio del potere dalla legge attribuito al Presidente del Consiglio dei ministri, quale autorità depositaria di tutte le competenze, e delle relative responsabilità, in materia di segreto di Stato. Nella prima di tali direttive, il Presidente del Consiglio precisa che, "agli effetti dell'art. 342 del codice di procedura penale (allora) vigente, devono intendersi coperti dal segreto di Stato le cose, gli atti e i documenti relativamente ai quali esista un provvedimento dichiarativo del segreto di Stato, ovvero i cui contenuti o le cui caratteristiche siano tali da rivelare informazioni o dati concernenti i compiti, le attribuzioni, la programmazione, la costituzione, la dislocazione, l'impiego e gli organici degli organismi di informazione e di sicurezza e le relative strutture; i dati di riconoscimento autentici o di copertura dei componenti degli organismi medesimi e quelli di copertura di tali organismi; le posizioni documentali dei singoli componenti; l'addestramento e la preparazione professionale di tipo specialistico per lo svolgimento delle attività istituzionali; le aree ed i settori di impiego; le operazioni e le attività informative; le modalità e tecniche operative; le fonti confidenziali; le relazioni con organi informativi di altri Stati; le infrastrutture ed i poli operativi e logistici; l'assetto e il funzionamento degli impianti, dei sistemi e delle reti di telecomunicazione, radiogoniometriche, radar e cripto nonché di elaborazione dati; l'armamento, l'equipaggiamento, i veicoli, i mezzi e i materiali speciali in dotazione".
Nella medesima direttiva, il Presidente del Consiglio precisa che, nella formulazione dell'elenco in questione, "non si è trascurato il fatto che non sempre i documenti e le notizie contenute nell'elenco allegato sono, di per sé, concretamente idonee, se divulgate, ad arrecar danno a quegli interessi fondamentali dello Stato tutelati dall'art. 12 della legge 801. Ma è stato considerato in proposito, da un lato, che una notizia avulsa dal quadro generale di una situazione che spesso non è conosciuta, nella sua globalità, dal soggetto cui la legge impone la valutazione di segretezza, può apparire di valore diverso dal reale e quindi condurre a superficiali e incompleti apprezzamenti. Dall'altro, che, se è vero che una singola notizia può essere inidonea a provocare il pregiudizio che si vuole evitare una pluralità di notizie dello stesso genere, che verrebbero divulgate se non fosse posto un freno alla tendenza in atto, finirebbe col determinare una progressiva vulnerabilità del settore informativo fino a provocarne la paralisi".
Con la seconda direttiva, il Presidente del Consiglio dei ministri ha disciplinato, tra l'altro e per quel che qui rileva, la gestione dei fondi riservati che, proprio in considerazione della loro natura, viene affidata ai direttori dei servizi i quali potranno avvalersi di un fiduciario. Si tratta di spese che sono lasciate dalla legge alla più ampia discrezionalità dell'esecutivo e in relazione alle quali, per evitare la divulgazione di notizie destinate a rimanere riservate, il controllo viene effettuato presso le sedi dei rispettivi organismi. In tale direttiva si precisa, quindi, che sul capitolo delle spese riservate oltre a quelle considerate di tale natura da espresse disposizioni normative e a quelle per le quali ragioni connesse alla sicurezza dello Stato impongono di mantenere riservata la relativa documentazione, potranno far carico anche quegli oneri che si riferiscono all'acquisto di beni o servizi di cui sia riservata la destinazione; quelli relativi a beni o servizi il cui acquisto presenti carattere di immediatezza quando la rapidità dell'operazione cui essi sono destinati è condizione essenziale per il conseguimento degli obiettivi; quelli, infine relativi all'acquisto di strumenti di elevata tecnologia, quando i tempi di acquisizione, per la complessità della procedura occorrente, siano tali da oltrepassare l'anno finanziario di competenza, nonché le spese che, a giudizio dell'Autorità politica da cui ciascun organismo dipende, hanno carattere di riservatezza.
Di particolare rilievo è, ai fini del presente processo, il fatto che, in allegato alla direttiva sulle spese di funzionamento e di organizzazione dei servizi di informazione, sono contenute due tabelle, relative, rispettivamente, alle spese ordinarie di organizzazione e di funzionamento e alle spese riservate. Nella tabella relativa alle spese riservate, in particolare, i settori di spesa sono due, concernenti, l'uno, il personale e l'altro, l'acquisto di beni e servizi. Il primo è articolato nelle seguenti voci: indennità di funzione ed operativa; assicurazione infortuni personale in servizio e interventi assistenziali; missioni all'interno e all'estero; trattamento economico per servizio all'estero. Il settore concernente l'acquisto di beni e servizi, a sua volta, è articolato nelle seguenti voci: fonti, informatori e consulenze di natura riservata; sicurezza personalità esposte; addestramento personale in servizio; impianti, attrezzature e materiali protettivi; materiali TLC; materiale tecnico-scientifico e fotografico; informatica; motorizzazione; armamento; tipolitografia; ricerca tecnologica; società e uffici di copertura; istituzione e funzionamento centri operativi; varie.














E' con riferimento alla positiva individuazione degli ambiti del segreto di Stato e delle spese riservate contenuta nelle direttive del Presidente del Consiglio dei ministri, organo preposto alla gestione e alla tutela del segreto di Stato e alla politica di informazione e di sicurezza, che, ad avviso della Corte, deve essere valutata la documentazione oggetto del capo di imputazione. La Corte ritiene, infatti, che le direttive indicate costituiscano un criterio obiettivo al quale attenersi per la qualificazione della natura dei documenti oggetto di imputazione, nel senso che, ove i documenti in questione siano riconducibili alla tipologia indicata nelle citate direttive e nelle singole voci nelle quali, all'epoca dei fatti, era certamente articolato il conto delle spese riservate, gli stessi non potranno non essere qualificati come inerenti alla sicurezza dello Stato e, conseguentemente, assistiti dal regime del segreto di Stato. Ove, viceversa, i documenti oggetto di contestazione non siano riconducibili, in ragione del loro contenuto o della esplicita imputazione della spesa alle voci prima indicate, quello speciale regime non potrà trovare applicazione, con conseguente non riconducibilità della condotta contestata alla fattispecie di cui all'art. 255 cp.

5. - Applicando il criterio suddetto al caso di specie, occorre ora procedere alla ricognizione dei singoli documenti il cui trattenimento è stato contestato all'imputato, quale condotta materiale integrante la fattispecie dell'art. 255 e dell'art. 351 cp. dovendosi peraltro subito precisare che, poiché i documenti indicati come provenienti dal (...) (e contestati al (...), avendo questi ammesso di averli consegnati al (...)) risultano coincidenti, salvo quelli indicati (docc. nn. 1, 9 e 13) a quelli consegnati dal (...) in sede di interrogatorio, la condotta del (...) verrà valutata con riferimento a questi ultimi documenti, dovendosi ritenere assorbita la contestazione concernente i medesimi documenti prodotti in copia dal (...).
5.1 Anticipando una valutazione d'insieme, la Corte ritiene che, in linea generale e ad eccezione, per quanto si dirà di quelli indicati ai numeri 1, 9, 17 e 24, ai documenti oggetto della contestazione, ancorché essi consistano prevalentemente in appunti o annotazioni relative a prelievi sui fondi riservati, si debba riconoscere l'inerenza alle finalità istituzionali del Servizio, anche se, apparentemente, appunti e annotazioni contengono indicazioni solo parziali e non autonomamente significative. Premesso, infatti, che, come sottolineato nella citata direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri, la valutazione di segretezza non può prescindere dal possibile inserimento della notizia, dell'atto o del documento in un contesto più generale, deve ritenersi che, in mancanza di indicazioni che positivamente inducano ad imputare i documenti rappresentativi o anche solo indicativi, di spese effettuate con i fondi riservati, a finalità esplicitamente non rientranti tra quelle specificate nelle direttive del Presidente del Consiglio dei ministri, non possa escludersi l'inerenza di atti o documenti relativi ai fondi riservati alle finalità che con tali fondi possono essere soddisfatte. E così, anche ai documenti che denotano semplicemente l'avvenuto prelievo di una somma da parte del direttore del Servizio, in mancanza di elementi che impongano di riferire il prelievo e la spesa a finalità estranee a quelle proprie del Servizio e in mancanza di elementi conoscitivi che consentano di delineare il contesto nel quale quel prelievo e quella spesa si inseriscono, non può non essere riconosciuto carattere di segretezza e la conseguente tutela anche in sede penale.
In altri termini, la Corte ritiene che, ferma restando la possibilità di sindacato in relazione alle finalità cui sono preordinate le spese riservate, quali individuate dalla legge e precisate dalle direttive del Presidente del Consiglio dei ministri, allorquando dall'atto o dal documento risulti la finalità della spesa e questa sia rispondente alle finalità al cui soddisfacimento sono preordinate le spese riservate, l'atto o i documenti partecipano del carattere di riservatezza o di segretezza proprio della attività del Servizio: viceversa, allorquando dall'atto o dal documento positivamente risulti il perseguimento di finalità non coincidenti con quelle cui le spese riservate sono preordinate, deve escludersi il riconoscimento di riservatezza o di segretezza con conseguente esclusione della applicabilità delle norme a tutela di tali atti. Allorquando, poi, dal contenuto dell'atto o del documento non traspaia alcuna finalità, non potendosi escludere che quell'atto o quel documento, se collocati in un contesto particolare, possano acquisire rilevanza in relazione al perseguimento delle finalità istituzionali del servizio, e in base al generale criterio di presunzione di legittimità degli atti compiuti dai pubblici funzionari, non potrà non riconoscersi la tutela approntata dall'ordinamento agli atti o ai documenti di contenuto segreto o riservato. E' sufficiente, infatti, rilevare a questo proposito che il fatto storico del prelievo di una somma in una certa data o di più somme in un determinato periodo, potrebbe acquisire una rilevanza ove da altre fonti, alla Corte sconosciute, emergessero le modalità di impiego di quelle stesse somme.
Sempre in via generale e di insieme, la Corte rileva che la percezione che i fondi riservati siano stati utilizzati, per quanto è possibile dedurre dai documenti oggetto di imputazione, più per la acquisizione di beni e servizi ovvero per la elargizione di compensi in favore sia dei funzionari del Servizio, sia in favore di soggetti di cui non risulta chiaro il ruolo svolto nell'ambito dei compiti del Servizio, che non per compiti operativi veri e propri, se può valere a fondare il dubbio sulle scelte strategiche dei vertici del Servizio e dei responsabili politici che quelle scelte hanno avallato o comunque consentito, non consente di rimuovere la connessione, ove esistente, con le finalità del Servizio, e quindi di far venir meno la tutela apprestata dall'ordinamento per atti o documenti segreti o riservati.
Né elementi utili per escludere la inerenza dei documenti oggetto di contestazione, ad eccezione di quelli ai numeri I, 9, 17 e 24, alle finalità istituzionali del Servizio e, in particolare, alle esigenze alle quali sono preordinate le spese riservate, possono essere desunti dal rilievo, prospettato dalla difesa dell'imputato, che i documenti stessi, non essendo destinati ad entrare nella documentazione esibita al Ministro in occasione del rendiconto periodico e non essendo di per sé rappresentativi di alcuna attività riservata, non erano stati distrutti secondo le modalità prescritte dalla direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri perché privi del carattere di segretezza o di riservatezza certamente proprio degli atti inseriti nel rendiconto periodico, viceversa distrutti con regolarità. Ma, a parte il rilievo che la normativa regolamentare vigente all'epoca del fatto non prevedeva in termini di obbligatorietà la distruzione di tutta la documentazione afferente alle spese riservate (con il che l'argomento desunto dalla mancata distruzione per inferire la insussistenza dei requisiti di segretezza o di riservatezza dei documenti non distrutti risulta del tutto irrilevante), la Corte osserva che il fatto che i documenti in questione non siano stati inseriti nel rendiconto, ma siano stati tuttavia conservati, secondo quanto affermato dallo stesso imputato, in un armadio all'interno degli uffici del Servizio, non esclude affatto le potenzialità rappresentative dei documenti stessi e quindi la necessità della tutela propria di documenti segreti o riservati.

6. - (.....)

7. - Accertata dunque, la ricorrenza, nella condotta dell'imputato, dell'elemento materiale del delitto di cui all'art. 255 cp (ad eccezione, ovviamente, di quel che riguarda l'apprensione e il trattenimento dei documenti indicati ai nn. 1, 9, 17 e 24, dell'elenco (...) allegato al capo di imputazione e di quelli di cui ai numeri 1, 9 e 13 dell' elenco (...)), la Corte ritiene che sussista anche l'elemento soggettivo del delitto di cui all'art. 351 cp. Risponde di tale delitto, infatti, colui che sottrae... atti, documenti, ovvero un'altra cosa mobile particolarmente custodita in un pubblico ufficio. Orbene, appare evidente che la condotta dell'imputato integra la fattispecie ora descritta.
L'imputato, nel corso dell'esame dibattimentale, ha più volte insistito sulla circostanza che i documenti che egli ha ammesso di aver prelevato al momento del suo allontanamento dal Servizio non erano sottoposti a custodia, dal momento che insieme ad altri analoghi (ma prelevati e distrutti nel corso del tempo per creare spazio) giacevano sul fondo di un armadio, abbandonati e destinati, a loro volta, ad essere distrutti ove ciò fosse necessario per consentire di archiviare nel medesimo armadio altri documenti destinati, viceversa, ad essere conservati.
La Corte ritiene che, pur ammettendo la veridicità della ricostruzione dell'imputato e pur ammettendo, quindi, che effettivamente i documenti oggetto di contestazione si trovassero nel fondo di un armadio (anche se non può non sottolinearsi l'anomalia della mancanza di disponibilità da parte dell'Ufficio del Direttore del Servizio di armadi in misura sufficiente a custodire tutti i documenti prodotti nella gestione delle spese riservate e non distrutti), ciò non di meno la condotta dell'imputato integra gli estremi del delitto contestato. I documenti in questione, e tra questi anche quelli per i quali deve escludersi il carattere di segretezza o riservatezza, sono documenti prodotti all'interno di una struttura pubblica; essi, prima che il (...) li prelevasse, erano custoditi nei locali del SISDe e, in particolare, nell'ufficio dell'imputato, fiduciario del Direttore del Servizio per le spese riservate, in un armadio all'interno del quale erano custoditi altri documenti destinati, per esplicita ammissione dell'imputato, ad essere conservati e custoditi. In sostanza, la inerenza dei documenti alla attività del Servizio e le modalità di conservazione dei documenti all'interno dei locali del Servizio e all'interno di un armadio sono elementi che, ad avviso della Corte, valgono a qualificare la condotta dell'imputato come lesiva del precetto di cui all'art. 351 cp.
Né il reato di violazione della pubblica custodia di cose può ritenersi assorbito in quello di cui all'art. 255 cp, dal momento che, come riconosciuto dalla stessa difesa dell'imputato, il bene giuridico protetto è, nell'un caso, la sicurezza dello Stato e nell'altro, la custodia di atti o documenti: custodia che, nel caso di specie, risultava attuata attraverso un armadio ubicato negli uffici del Servizio.

8. - Accertata, dunque, la sussistenza degli elementi materiali dei delitti contestati, non può neanche dubitarsi della consapevolezza, da parte del (...), della natura degli atti da lui prelevati e poi prodotti, a distanza di oltre cinque mesi, alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma. Egli, infatti, era un funzionario con posizione di particolare responsabilità all'interno del SISDe, ove svolgeva la propria attività in qualità di fiduciario del Direttore del Servizio per le spese riservate, dopo aver svolto analoga attività dal 1978 al 1989 presso il CESIS. Egli, quindi, non poteva non essere consapevole della rilevanza della documentazione prodotta all'interno del Servizio in relazione alla gestione delle spese riservate.
Non a caso, del resto, lo stesso imputato ha tenuto a precisare, in sede di esame dibattimentale, di aver riposto i documenti prelevati dall'armadio in una busta, che avrebbe aperto solo nel corso dell'interrogatorio nel corso del quale ebbe a produrre i documenti stessi. Ovviamente, la circostanza va integrata con il dato, incontestato nel presente giudizio, che l'imputato ebbe a consegnare copia dei documenti al (...), sull'asserito presupposto della loro utilità alla difesa nel giudizio nel quale entrambi erano imputati: deve quindi ritenersi accertato che almeno in una occasione, nel periodo giugno - novembre 1993, l'imputato ebbe ad aprire la busta per consegnare i documenti al (...). Ciò, peraltro, non inficia minimamente la validità delle considerazioni circa la consapevolezza da parte del (...) della natura degli atti prelevati presso gli uffici del SISDe e trattenuti per oltre cinque mesi, e comunque circa la consapevolezza che quei documenti potevano al più essere distrutti ma non asportati dall'ufficio, non esistendo alcuna normativa che abilitasse a ciò i funzionari del Servizio.

9. - L'imputato, tuttavia, ha invocato la scriminante dell'esercizio di un diritto e, in particolare, del fondamentale diritto di difesa garantito a tutti gli individui dall'art. 24 della Costituzione. Il (...) ha, infatti, affermato di essere stato indotto alla condotta oggetto di contestazione, dalla necessità di reperire un atto che, seppure non direttamente, potesse consentirgli almeno indirettamente di difendersi dall'accusa di peculato, alla quale, nel momento della apprensione dei documenti, andava incontro non essendo ancora stato acclarato nel giudizio allora pendente che i fondi dei quali egli aveva la disponibilità non erano del Servizio, ma suoi. E tale risultato l'imputato ha affermato di aver realizzato, dal momento che nella documentazione sottratta e trattenuta vi sarebbe stata traccia sia dell'avvenuta corresponsione dei premi, che avrebbero costituito la fonte principale dei depositi (in verità assai ingenti) rinvenuti a suo nome, sia della esposizione della gestione fondi riservati nei confronti di quella relativa ai fondi ordinari, dei quali era responsabile il (...).
Ad avviso della Corte, tuttavia, non possono ravvisarsi, nella condotta dell'imputato, gli estremi della invocata scriminante.
A parte il rilievo, pure assai significativo, che l'imputato ha trattenuto presso di sé la documentazione prelevata "a casaccio" negli uffici del SISDe nel momento in cui era stato invitato a lasciare il Servizio (circostanza, questa, che difficilmente si giustifica in relazione alla asserita necessità di utilizzare quei documenti onde dimostrare l'infondatezza delle ipotesi accusatorie allora prospettate nei suoi confronti) e a parte il rilievo, del pari assai significativo, che l'imputato, secondo quanto egli stesso ha riferito, ha omesso di consegnare i documenti dei quali era in possesso ai suoi difensori, onde avvalersi dell'ausilio tecnico circa la strategia difensiva da seguire, sta di fatto che in alcun modo la condotta posta in essere dall'imputato può ritenersi penalmente irrilevante: ben avrebbe potuto, infatti, il (...) dimostrare il proprio assunto attraverso altri mezzi processuali (e, in primo luogo, attraverso la prova testimoniale, dal momento che secondo quanto riferito, della percezione di premi non veniva rilasciata alcuna ricevuta, e comunque attraverso una richiesta di acquisizione dei documenti prelevati e trattenuti). In questo senso, infatti, appare applicabile il principio affermato da Cass. 30 aprile 1983, Rampini, secondo cui commette furto il dipendente di una società che asporti documenti di quest'ultima per utilizzarli in giudizio al fine di provare le funzioni svolte e ottenere la retribuzione corrispondente. Secondo la S.C., infatti, in tale fattispecie non ricorre l'ipotesi dell'esercizio di un proprio diritto in quanto il reo avrebbe potuto fornire in sede civile le prove della sua qualifica a mezzo testimoni oppure richiedere al giudice di ordinare al datore di lavoro l'esibizione in giudizio della documentazione necessaria. è ben vero che Cass., 20 aprile 1989, Crincoli, ha affermato il principio secondo cui al reato di rivelazione di segreti d'ufficio è applicabile la causa di giustificazione dell'esercizio di un diritto allorché la rivelazione sia fatta per difendersi in giudizio, essendo il diritto di difesa prevalente rispetto alle esigenze di segretezza e di buon funzionamento della pubblica amministrazione. E tuttavia appare del tutto evidente come, a parte il rilievo che, nel caso di specie, non è solo l'esigenza di segretezza della pubblica amministrazione a venire in considerazione, ma l'interesse alla sicurezza dello Stato, il principio affermato dalla S.C. postuli la sussistenza di elementi certamente non ravvisabili nella condotta del (...). Questi, infatti, non si è limitato a rivelare un qualche segreto appreso per ragioni di servizio, ma ha prelevato, come egli stesso ha ammesso, "a casaccio" i documenti rinvenuti nell'armadio, a prescindere da qualsiasi diretta inerenza dei documenti stessi rispetto all'assunto difensivo che egli intendeva sostenere. Non a caso, del resto, egli prima di utilizzarli personalmente, mostrandoli ai propri difensori e producendoli alla Procura della Repubblica, ha trattenuto presso di sé i documenti prelevati per oltre cinque mesi e ha ritenuto di poterli consegnare ad un suo coimputato, con il che facendo ulteriormente venire meno il rapporto che necessariamente deve sussistere tra consumazione di un illecito penale ed esercizio del diritto, dal quale potrebbe derivare l'esclusione della antigiuridicità della condotta.
Né la condotta dell'imputato può ritenersi scriminata per il fatto che egli ha consegnato i documenti alla Procura della Repubblica e nel corso di un interrogatorio, dal momento che tale circostanza, che di per sé potrebbe indurre a stabilire un collegamento tra la apprensione dei documenti e la utilizzazione di essi in sede giudiziaria, risulta contrastata e vanificata dal rilievo che la produzione del (...) è stata preceduta dalla consegna di copia dei documenti, anche se non di tutti, al (...) e dalla diffusione dei documenti da parte del (...), sì che deve escludersi la riferibilità della apprensione e del trattenimento dei documenti da parte dell'imputato alla necessità di esercitare il diritto di difesa.
Il fatto che l'imputato abbia trattenuto per così tanto tempo i documenti in questione non consente, poi, neanche di apprezzare la sua condotta sotto il profilo, prospettato dalla difesa in sede di discussione della necessità del prelevamento al "benemerito" fine di denunciare gli illeciti che, sotto l'usbergo del segreto o della riservatezza della attività del Servizio, sarebbero comunque stati commessi e dei quali proprio i documenti oggetto della contestazione avrebbero potuto offrire la prova. Ed invero, pur potendosi condividere l'affermazione della difesa secondo la quale nella gestione dei fondi riservati, nel periodo cui si riferiscono i documenti oggetto di contestazione, sono stati assunti impegni difficilmente riconducibili alle finalità del Servizio (di ciò costituisce prova, ad avviso della Corte, l'accertata utilizzazione delle spese riservate per le finalità positivamente espresse nei documenti ai numeri 1, 9, 17 e 24, di cui si è detto) e destinati unicamente ad assicurare privilegi e prebende ad alcuni soggetti, anche investiti di incarichi istituzionali (ma la stessa attribuzione di premi nella misura indicata dal (...) anche ai funzionari del Servizio, o ad alcuni di essi, non sembra sottrarsi a questa logica: del tutto implausibile appare, infatti, l'asserita corresponsione di premi, mensili di importo così rilevante da giustificare l'esistenza dei depositi bancari dai quali ha preso le mosse la vicenda da cui è scaturito anche il presente processo e tuttavia da non essere ragionevolmente spiegata dallo stesso imputato; e ciò tanto più in quanto i premi ai quali ha fatto riferimento l'imputato sono diversi dalle indennità previste dalle voci relative alle spese riservate per il personale), non vale tuttavia ad attribuire alla condotta dell'imputato una finalità che certamente essa non aveva: quella di fare luce sulla gestione dei fondi, anche attraverso la denuncia, circostanziata e documentata, degli illeciti a sua conoscenza.

10. - L'imputato deve dunque essere dichiarato colpevole dei reati ascrittigli in relazione ai documenti indicati nell'elenco (...) allegato al capo di imputazione, in esso assorbiti, come detto, i documenti indicati nell'elenco (...), in considerazione della identità degli stessi, ad eccezione di quelli ai numeri 1, 9 e 13, con l'esclusione, quanto al reato di cui all'art. 255 cp, dei documenti ai numeri 1, 9, 17 e 24 dell'elenco (...), in relazione ai quali, per le ragioni esposte in precedenza, egli deve essere assolto perché il fatto non sussiste e con l'esclusione, quanto allo stesso delitto di cui all'art. 255 cp e a quello di cui all'art. 351 cp, dei documenti indicati ai numeri 1, 9 e 13 dell'elenco (...), in relazione ai quali egli deve essere assolto per non aver commesso il fatto.
I medesimi delitti sono poi aggravati ai sensi del contestato art. 61, n. 9, cp., essendo del tutto evidente che il (...), ha commesso il fatto con abuso dei doveri inerenti alla pubblica funzione della quale egli, all'epoca, in quanto fiduciario per le spese riservate del Direttore del SISDe, era investito. Gli stessi, peraltro, devono essere ritenuti avvinti dal vincolo della continuazione, contestata già nel capo di imputazione, sussistendo l'identità del disegno criminoso desumibile dalle modalità dell'azione.
Venendo quindi, alla determinazione della pena la Corte ritiene che all'imputato possano essere riconosciute le attenuanti generiche prevalenti rispetto all'aggravante contestata, in considerazione della sua corretta condotta processuale, del suo stato di incensuratezza e, comunque, per adeguare la pena caratterizzata da un minimo assai elevato, alla reale gravità del fatto.
Tenendo, quindi, conto dei criteri tutti di cui all'art. 133 cp e, in particolare, di quello della gravità del fatto, la Corte ritiene che l'imputato debba essere condannato alla pena di sei anni di reclusione (determinando la pena base, per il delitto più grave, art. 255 cp, nella misura minima prevista di otto anni di reclusione da diminuirsi, per le attenuanti generiche prevalenti, nella misura di anni cinque e mesi quattro, sulla quale operare poi l'aumento ai sensi dell'art. 81 cpv cp), oltre al pagamento delle spese processuali.
Segue per legge l'applicazione delle pene accessorie della interdizione perpetua dai pubblici uffici e della interdizione legale durante l'esecuzione della pena.

Per questi motivi

visti gli artt. 533 e 535 cpp,
dichiara (...) colpevole del reato di cui all'art. 255 e 61, n. 9 cp relativamente ai documenti indicati nell'elenco della produzione (...) ad esclusione di quelli di cui ai numeri 1, 9, 17 e 24, in esso assorbita la produzione (...), ad eccezione dei documenti di cui ai numeri 1, 9 e 13 del relativo elenco, nonché colpevole del reato di cui agli artt. 351 e 61, n. 9. cp relativamente a tutta la produzione (...), in esso assorbita la produzione (...), ad eccezione dei documenti di cui ai numeri 1, 9 e 13 del relativo elenco, e ritenuta la continuazione contestata, in concorso di attenuanti generiche prevalenti sull'aggravante contestata; lo condanna alla pena di sei anni di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali;
visti gli artt. 29 e 32 cp,
dichiara il (...) interdetto in perpetuo dai pubblici uffici e in stato di interdizione legale durante la pena;
visto l'art. 530 cpp.,
assolve (...) dal reato di cui all'art. 255 cp. relativamente ai documenti numeri 1, 9, 17 e 24 della produzione (...) perché il fatto non sussiste. Assolve lo stesso (...) da entrambe le imputazioni ascrittegli, relativamente ai documenti numeri 1, 9 e 13 della produzione (...), per non aver commesso il fatto;
visto l'art. 544 cpp.,
indica per il deposito della sentenza il termine di novanta giorni.

Roma 19 giugno 1997


(*) La seguente sentenza, emessa dalla 2a Corte d'Assise di Roma, viene pubblicata in stralcio nella parte ritenuta di specifico interesse per la presente pubblicazione.

© AGENZIA INFORMAZIONI E SICUREZZA INTERNA